venerdì
Non c'è di che
Alla fermata dell'autobus, sto aspettando. Il prossimo che arriva non è il mio.
Alla fermata dell'autobus ci sono i controllori: non salgono sull'autobus ma fanno finta di salire e poi controllano il biglietto a chi scende. Astuti.
Un ragazzo scende perché quella è la sua fermata. Sui vent'anni, settentrionale, sereno. Ha le cuffie dell'iphone fuori dal parka refrigiwear, le stan smith ai piedi, lo zaino eastpack in spalla.
Guarda sereno i controllori con l'aria di chi è abituato. Non ha il biglietto. Chiede di poter fare una telefonata. Parla al telefono, capisco da dove guarda che dà spiegazioni sulla fermata e il nome della strada. Si geolocalizza. I controllori hanno il proprio nome esposto su una targhetta, a norma di legge.
Squilla il cellulare di uno dei controllori, presumibilmente il caposquadra. Sento che al telefono risponde "Certo, mi scusi". Mette giù. Tende la mano al ragazzo, "Ci scusi, arrivederci".
"Non si preoccupi" dice il ragazzo.