E' successo che, inaspettatamente, ti ho sognato: in uno di quei sogni
che mescolano cose di ieri sera e di decenni fa a cose immaginarie che non saranno
mai.
Nel sogno eravamo amici d'infanzia, anzi di adolescenza, ovvero non eravamo amici affatto perché tra noi c'era quell'affinità elettrica e puntuta che rende impossibile l'amicizia fra persone troppo simili, a sedici anni o giù di lì.
Nel sogno eravamo in una città di mare che forse era la mia città o forse la tua, e tu avevi messo un banchetto di fronte a una specie di fortino (che forse era una tua fortezza) e con amici vendevi libri.
Eri magro e giovane e avevi occhi intelligenti e lunghi capelli luminosi.
E io cercavo di convincerti a visitare la città vecchia, di portarti a scoprire la bellezza nascosta tra i vicoli e la vita. Ma tu sfuggivi e sgusciavi e sorridendo ti rifugiavi nel banchetto, dietro ai libri.
Cosa ci fosse scritto in quei libri non si sa. Forse erano le parole accumulate in fila in tutti i libri che abbiamo letto. Forse le stesse parole ma rimescolate tutte a caso o ad arte, a formare nuovi libri.
Forse erano i libri che non abbiamo mai letto, quelli che non abbiamo mai scritto, le cose che non ci diremo mai. A vicenda e ognun per sé. Eccetera.
E' ovvio che lo so che nel sogno eri tu e non eri tu. O meglio, eri tu occasionalmente. E, certo, che più probabilmente ero io.
Ma
da questi sogni ci si sveglia con la sensazione di esserci stati
insieme, in quel nessun posto davanti a un'indifesa fortezza, nascosti insieme in trincee di parole e silenzi pur di non vedere luoghi mai visti, insieme. E da quel momento, non si può più fingere di non esserci stati.
Sì, resta pur sempre il filo di un dubbio.
E però, indubitabilmente: il colore degli occhi, quella luce nei capelli.