venerdì

Sul ciglio



Non è che uno nasca proprio dove vuole. Nasce dove capita. Anzi, meglio: nasce dove capita che sia caduto un seme. Su una terrazza lussuosa, in una verde pianura, nel cupo d'un bosco, nel parco di un quartiere bene. O lungo i binari della ferrovia, o ai piedi di una discarica, o in un campo arato e concimato, o sul ciglio di un deserto.

E anche allora, non è per niente facile. Il seme non è detto che attecchisca. Può essere trascinato via dall'acqua, seccato dal sole, beccato dagli uccelli. Ucciso dalla chimica.

Fin lì, va un po' a fortuna: non ci puoi fare niente. Ma è quando nasci che comincia la fatica. 
Esile, debole, fragile.
Solo. 
In mezzo ai tanti che passano e ai pochi che stanno: ma sempre, comunque, solo.
Aggrappato a te stesso, succhiando nutrimento dalle tue poche certezze. 
Abbarbicato.
Crescere cosa significa poi, se non resistere? 
Abbarbicato. Tenace, ostinato. Solo.

Solo con le tue forze contro il freddo il caldo il vento e le intemperie.

Poi basta poco, non dipende mai davvero da te. Basta un attimo perché il terreno ti frani sotto, perché l'altrui profitto ti soffochi, perché la distrazione ti falci, o ti dimentichi e t'inaridisca.

No.
Io resisto. 
Solo.
Contro ogni noncuranza, contro ogni colpevole incuria. Contro ogni legge di mercato e di gravità. Per la vostra sorpresa e per la vostra rabbia.
Io non mi piego e non mi spezzo.
Io resisto. E cresco. E fiorisco.



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