martedì

Era una regina



Quando la vide per la prima volta era inverno.
Candido come al solito in ritardo correva al lavoro in bicicletta. Per abbreviare il percorso passava sotto al ponte della Chiusa, evitando così il giro del quartiere.

Quando la vide per la prima volta, la prima emozione che provò fu di vergogna per il fumo di fiatone gli usciva dalla bocca attraverso la sciarpa, mentre correva nell'ansia e sul pavé. Rallentò istintivamente, chiuse la bocca.

Erano comparsi dal nulla, una famiglia scura dalla pelle polverosa, dalle ossa dure e spigolose. Gente di montagna, di sicuro. L'uomo e la donna più anziani (sembravano vecchissimi: o molto stanchi) sedevano accucciati sui talloni nella posa tipica dei nomadi, di chi è abituato a non avere sedie.
Tre uomini più giovani, tra loro non parenti di sicuro, parlottavano in un angolo ma senza interesse, come per passare il tempo.
 
Lei incedeva lentamente, a passi solenni, immersa in pensieri di certo importantissimi. Indossava un abito nero, kaftano e pantaloni, con arabeschi d'oro.
Lei. Lei era la donna più bella che Candido avesse mai visto. Era piccola, compatta, solida. Aveva la pelle color sabbia e lunghissimi capelli color terra. 
In un istante, cercando di respirare, Candido colse tra le ciglia lunghe e scure un lampo verde, ma non riuscì a capire se fosse rabbia, o il colore degli occchi.

Lei camminava a passi solenni, musicali, da parata: misurando la propria rabbia e la propria volontà. Si capiva che di questo nuovo regno era lei, la regina.

La sera quando Candido tornò indietro, il nuovo piccolo popolo della Chiusa era scomparso.
Ma la mattina dopo la vide di nuovo. Tutte le mattine la vedeva, tutte le sere la cercava inutilmente.
Tutto l'inverno ogni mattina le passò a fianco, e mai e poi mai e poi mai lei alzò lo sguardo su di lui.

Finì l'inverno, passarono le stagioni. La famiglia sotto la Chiusa si allargò, arrivò un uomo che somigliava tutto al vecchio; sicuramente il figlio, stessi spigoli. Arrivò una donna giovane, certo sorella della Regina, con un bambino polveroso anch'esso. Gli uomini giovani sparirono. Poi sparì anche il vecchio. Tornò l'inverno. Arrivarono altri uomini.

Un giorno Candido la vide, accoccolata su un gradino di cemento, mani sulle ginocchia e sguardo torvo dare ordini dall'alto (questo lui vide) alla sua piccola tribù. 
Finì l'inverno. Tornò l'inverno. Un altro inverno terminò.

Candido sapeva bene che lei non l'avrebbe mai considerato. Ma lui che ci poteva fare, se l'amava dal primo sguardo? Tre anni sotto un ponte, ed era sempre più bella.

Un giorno Candido emozionatissimo frugò nell'armadio di sua sorella e rubò un vestito. Sobrio. Lungo. Castigato. Qualche piccolo fiorellino grigio, un vezzo. 
La mattina la vide, strinse il pacchetto nascosto nella giacca. La sera come sempre lei non c'era. Posò il pacchetto col vestito e scappò, pauroso come un ladro. 

Il giorno dopo, ansioso, pedalò più lento. Lei era là. Come sempre. La Regina. Lo sguardo intento a sorvegliare la tribù, a misurare gli ordini. La stessa rabbia verde negli occhi. L'abito nero, il damasco dorato. In un angolo, nel mucchio degli stracci, il vestitello coi fiorellini grigi sporco, stracciato, appallottolato.

Tornò l'inverno. Un altro inverno passò. Passava, Candido, ogni mattina, sotto il ponte della Chiusa. Guardava a terra. Lei era sempre lì.