mercoledì

Provati per voi: il Grand Hotel




L'ambiente è di quelli che non si scordano,
anzi che si sognano a lungo.

Marmi rari, rasi e damaschi.
Monumentale la scalinata che dalla hall porta alle suite.
Terrazza sui tetti, limonaia e gazebo.


Nel Salone delle feste, tra i sofa arabescati
e il grande pianoforte a coda,
sorseggiando un rosolio nella luce dei lumi
moltiplicata dai cristalli di boemia dei lampadari,
pare tra le sagome di veder incedere, silenziosi e alteri,
la Duse col suo Vate, o la Callas con Onassis.
O Hemingway o Scott Fitzgerald. O Caruso o Toscanini.
O la Duncan, o la Hepburn.



Le vetrate a piombo, le cancellate fiorite nel ferrobattuto
conferiscono alle studiate penombre dell'ambiente
un'atmosfera da foresta incantata,
dove belve scolpite nel marmo e ninfe ricamate tra gli arazzi
paiono muoversi immobili, come solo in sogno accade.



Lasciata la grande sala aristocratica,
sommessi ritornano antichi ricordi plebei, a riportarci al mondo.

Le finestre delle stanze non si chiudono,
il riscaldamento non è mai partito,
manca un accappatoio,
il concierge non ha tempo e il gar
çon si perde tra i bagagli ed il tassì.


Lungo il corridoio, uno spiacevole olezzo preannuncia da lontano
les toilettes pour dames.

Sarà mica la democrazia?