Il casto rigore dei padri in qualsiasi cosa attinente ai rapporti tra i due sessi nasceva dallo stesso principio: l'avversione per qualsiasi piacere capace di soddisfare la natura sensuale dell'uomo e degradare quella spirituale. Era loro opinione prediletta che se non avesse disobbedito al Creatore, Adamo sarebbe vissuto per sempre in uno stato di verginale castità, e che qualche innocuo metodo vegetativo avrebbe popolato il paradiso di una razza di esseri innocenti e immortali. La pratica del matrimonio era stata permessa alla posterità segnata dalla colpa originale come necessario espediente per continuare la specie umana e come freno, sia pure imperfetto, della licenziosità naturale del desiderio. L'esitazione dei casuisti ortodossi su un argomento di tale interesse tradisce la perplessità di uomini riluttanti a approvare un'istituzione che si sentivano costretti a tollerare. L'enumerazione delle leggi singolari che i casuisti dettavano minuziosamente per l'unione coniugale farebbe sorridere i giovani e arrossire le signore. Era la loro opinione unanime che un primo matrimonio fosse più che sufficiente a soddisfare i fini della natura e della società. Il rapporto sessuale veniva sublimato, innalzato a simbolo della mistica unione di Cristo con la sua chiesa, e non doveva venir sciolto da un divorzio né dalla morte. La pratica delle seconde nozze era bollata col nome dell'adulterio legale, e chi si rendesse colpevole di un'offesa tanto scandalosa contro la purezza cristiana veniva escluso dagli onori e perfino dalle braccia della chiesa.
Edward Gibbon,
Declino e caduta dell'Impero Romano
(The History of the Decline and Fall of the Roman Empire)
1776
Declino e caduta dell'Impero Romano
(The History of the Decline and Fall of the Roman Empire)
1776